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La storia dei graffiti – conosciuti anche come name writing, secondo la terminologia usata dagli stessi attori di questo fenomeno apparso nelle strade di Philadelphia e New York sul finire degli anni ’60, prima di arrivare in Europa negli anni ‘80 – è ancora in gran parte da scrivere, perché, fino ad oggi, la documentazione prodotta negli ultimi quarant’anni è sfuggita alle istituzioni.

Mentre i musei hanno rifiutato di acquisire le opere dei graffiti writers, le biblioteche hanno, infatti, ignorato un mercato editoriale estremamente dinamico.
Chi si interessa ai graffiti ha ben chiaro quest’ostacolo, perché sa che poco o nulla di approfondito è stato scritto sui graffiti, da quando Francesca Alinovi teorizzò nel 1984 il concetto di “arte di frontiera”.
Ricostruire la storia editoriale di questo fenomeno artistico urbano nella sala introduttiva della mostra The Bridges of Graffiti ha, dunque, un forte portato simbolico, perché la selezione di circa 140 tra libri, cataloghi e fanzine – esposti all’interno delle librerie disegnate dall’artista olandese Boris Tellegen –, mette a disposizione dei visitatori un’importante e variegata produzione editoriale rimasta in gran parte nell’ombra.

La totalità dei prestiti è stata, infatti, garantita da cinque collezioni private che hanno raccolto e conservato questo materiale documentario nel corso degli anni.

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The selection process was based on a limited number of criteria, trying above all to make visible the general contours of a rather vast publishing field.

Si è scelto di esporre libri, cataloghi di mostre e fanzines/riviste prodotte dai graffiti writers stessi.

Sono stati invece esclusi i libri d’artista, perché troppo numerosi e prodotti a volte con tirature molto limitate, e i pochi saggi e analisi – con l’eccezione del famosissimo The Faith of Graffiti di Norman Mailer del 1974 – pubblicati da intellettuali e universitari. Si è preferito, insomma, dare visibilità all’immagine che i graffiti writers hanno trasmesso della loro cultura al resto della società negli ultimi quarant’anni, senza dare più peso di tanto a quel numero relativamente ristretto di analisi di questo fenomeno condotte da persone esterne a
questa cultura.

 

I libri raccolti sono presentati in nove vetrine, di dimensioni diverse, ognuna delle quali dedicata a un tema specifico.

La prima racconta in ordine cronologico la storia del graffiti writing a New York, con libri rari come il catalogo della mostra degli United Graffiti Artistis del 1975 e Graffiti a New York di Andrea Nelli, pubblicato nel 1978, o i cataloghi delle prime mostre europee in Italia, Francia e Olanda, mentre la seconda si concentra sulla presenza dei graffiti sulla rete ferroviaria europea durante gli anni ’90 e 2000, uno dei capitoli più interessanti e meno conosciuti nella lunga storia dei graffiti, con veri e propri riferimenti editoriali come Sabotage : le graffiti art sur les trains d’Europe, uscito nel 1996, e Art Inconsequence THE BRIDGES of GRAFFITI di Robert Kaltenhäuser.

La terza vetrina offre un focus su alcune pubblicazioni che testimoniano la sovrapposizione tra il linguaggio dei graffiti e i codici del graphic design all’inizio degli anni 2000, come i due volumi di Scrawl, aprendo anche uno spaccato su personaggi e mostre – da Aaron Rose, il fondatore dell’Alleged Gallery di New York a Arts in the Streets, organizzata al MOCA nel 2011 – che hanno permesso ad alcuni graffiti writers americani di imporsi nel mondo dell’arte contemporanea nel corso dell’ultimo decennio.


La quarta vetrina dedica particolare attenzione all’handwriting, ossia alla pratica calligrafica, con un ampio raggio di pubblicazioni che vanno da Street Writers di Gusmano Cesaretti del 1975 ai libri più teorici di Markus Mai – Writing The Memory of the City e Writing Urban Calligraphy and Beyond – e a King Size, un piccolo capolavoro in puro spirito DIY, mentre la quinta offre una meritata visibilità a un rarissimo catalogo di una mostra organizzata a New York nel 1984 alla galleria Gallozzi – La Placa e alle monografie di due personaggi chiave di quell’ambiente: Rammellzee e Futura.

La sesta vetrina raccoglie delle monografie dedicate ad alcune crews o città, come Parigi, Amsterdam, Monaco, Amburgo e Roma, con libri ricercatissimi come Paris Tonkar del 1991 e Amsterdam Graffiti del 2004, mentre la settima è una selezione di vari libri e cataloghi di mostre che saranno in futuro veramente importanti per lo studio e l’analisi del graffiti writing, come The Art of Getting Over di Stephen Powers, Style Writing from the Underground di Phase 2 e All City Writers di Andrea Caputo. Le ultime due vetrine, l’ottava e la nona, presentano una selezione di fanzines autoprodotte o di riviste edite da graffiti writers nord- americani e europei tra gli anni ’80 e il 2015, nel tentativo di offrire un panorama quanto più completo possibile su una produzione editoriale di difficile reperibilità.

Rimane ancora molto da scrivere sulla storia dei graffiti, perché il loro apporto alla cultura degli ultimi quattro decenni non è stato chiarito. Effettuare questo percorso senza il sostegno di libri come quelli riuniti per questa mostra sarebbe impossibile. Per questo, la selezione presente a Venezia non è un semplice omaggio alla passione feticistica di alcuni appassionati di graffiti, ma una vera e propria operazione di condivisione di un patrimonio librario che aspetta di essere riscoperto.

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